lunedì 22 febbraio 2016

Machines from travels into several remote nations of the world (La macchina ne I viaggi di Gulliver)


Ovvero la macchina ne I viaggi di GulliverViaggi di Gulliver in vari paesi lontani del mondo di Jonathan Swift, 1726.
Travels into Several Remote Nations of the World, in Four Parts. By Lemuel Gulliver, First a Surgeon, and then a Captain of Several Ships



Ecco alcune presenze della macchina:


"Sembra che l'imperatore fosse stato avvertito, per mezzo di un corriere, del mio ritrovamento sulla spiaggia e che avesse deciso, col suo consiglio, di farmi legare nel modo che già sapete, il che era stato fatto durante la notte, mentre dormivo della grossa. Contemporaneamente si provvide all'invio di viveri e di bevande e si mandò a prendere una macchina capace di trasportarmi nella capitale dello stato."


"Quel popolo era specialmente esperto nelle scienze matematiche e meccaniche, a cui il sovrano accordava una benigna protezione. L'imperatore possedeva delle macchine ingegnosissime, alcune delle quali potevano trasportare i vascelli da guerra, lunghi perfino nove piedi, dalle foreste dove sono costruiti alla riva del mare. Si diede l'incarico a cinquecento fra ingegneri e falegnami di preparare una macchina di codesto genere, di grandezza bastevole per il mio trasporto. La macchina arrivò, e il rumore che io avevo sentito era dovuto al suo avvicinarsi. Era una carretta lunga sette piedi e larga quattro, posata su ventidue ruote e alta mezzo piede da terra. La collocarono parallelamente alla mia persona: ma il difficile fu di alzarmi per mettermivi sopra. Per questo scopo piantarono in terra ottanta pali, muniti di carrucole; mi passarono intorno alle braccia, alle gambe, al collo e al corpo delle forti strisce, a cui furono legate corde grosse come un buono spago da imballaggio, novecento uomini robusti tirarono le corde e così fui alzato, gettato sulla carretta e ivi fortemente legato. Durante tutto questo tempo io seguitai a dormire, sicché seppi soltanto più tardi ciò che mi avevano fatto."


"Nella tasca sinistra trovammo un meccanismo fornito di venti lunghi denti, simigliante alle palizzate che circondano la corte di Vostra Maestà; probabilmente l'uomo-montagna si serve di questo arnese per pettinarsi; ma, data la difficoltà di fargli capire la nostra lingua, abbiamo rinunziato a interrogarlo su questo proposito."


"Nella tasca grande a destra del suo copri mezzo (così traduco la parola Ranfu-lo con la quale essi intendevano alludere ai miei pantaloni) abbiamo visto un cilindro di ferro vuoto grande all'incirca come un uomo e attaccato a un pezzo di legno un po' più largo: da una parte del cilindro sporgevano alcuni strani pezzi di ferro che non sapremmo definire. Un'altra macchina uguale stava nella tasca grande a sinistra. Nel taschino a sinistra trovammo molti dischi di metallo rosso o bianco di grossezza variabile, rotondi e piatti; alcuni di essi, che ci sono sembrati d'argento, erano così grossi e pesanti che in due durammo fatica ad alzarli."


"Nell'alto del copri mezzo dell'uomo-montagna vedemmo altri due taschini le cui aperture restavano serrate dalla pressione del ventre. Fuori dal taschino sinistro ciondolava una grossa catena d'argento che reggeva una macchina davvero meravigliosa. Avendogli comandato di estrarre ciò che era attaccato alla catena, vedemmo comparire un globo fatto per metà d'argento e per metà d'un metallo trasparente. Sopra v'erano tracciati in circolo alcuni strani segni: tentammo di toccarli, ma i nostri diti non poterono oltrepassare quella sostanza diafana. Egli ci ha accostato agli orecchi codesta macchina: essa faceva un rumore continuo simile a quello d'un mulino ad acqua. Noi supponiamo che si tratti d'un animale di nuova natura oppure d'una divinità che costui adora; ma quest'ultima ipotesi è più verosimile, perché egli ci ha detto (se non abbiamo interpretato male il suo orribile linguaggio) che non faceva mai nulla senza consultarla, essendo quello il suo oracolo, che segnava il tempo per ogni azione della sua vita."



"Frattanto era arrivato un messaggero per annunziare all'imperatore che uno strano oggetto s'era ritrovato nel luogo dove io ero stato scoperto il primo giorno: si trattava d'un grande arnese nero e rotondo, i cui lembi occupavano una superficie eguale a quella della camera regale, e il cocuzzolo, fatto a guisa di piramide tronca, aveva l'altezza di due uomini. Codesto oggetto non sembrava dotato di vita, e alcuni audaci, arrampicandosi l'uno sulle spalle dell'altro, essendo giunti sull'estremità superiore del cilindro, s'erano accorti, battendovi i piedi sopra, che l'interno doveva esser vuoto. Supponevasi che tale macchina appartenesse all'uomo-montagna, e si domandava, in tal caso, se convenisse trasportarla alla capitale."


"L'imbarcazione era ormai arrivata vicina a terra. Quando la flotta fu giunta, io mi spogliai, entrai nell'acqua e camminai fino a cento yards dalla scialuppa. Quindi, nuotando, la raggiunsi; e avendomi i marinai gettato un cavo, ne attaccai un'estremità a un buco che era sul davanti della scialuppa e l'altra estremità a un vascello da guerra. Ma siccome perdevo piede nell'acqua, non potei continuare il mio lavoro e dovetti mettermi a nuotare dietro la scialuppa spingendola con una mano; così, col favore della marea, arrivai in un punto in cui potei toccar terra e stare con la testa fuori dell'acqua. Allora mi riposai qualche minuto, poi, spinsi il battello ancora più avanti finché l'acqua mi arrivò alle ascelle: il più era fatto. Allora presi altri cavi da uno dei vascelli, e attaccandoli alla scialuppa e poi a nove vascelli della flotta, con l'aiuto del vento e dei marinai, feci in modo da spingere l'imbarcazione a venti tese dalla riva; quivi potei avvicinarmi ad essa a piede asciutto, e avendola raddrizzata con l'aiuto di duemila uomini muniti di corde e di macchine, vidi che era abbastanza in buono stato. Ci vollero altri dieci giorni e non poche difficoltà (né qui sto a riferirle) per far entrare il battello nel porto reale di Blefuscu, dove accorse un'enorme folla che si stupiva alla vista d'un vascello tanto colossale."



"Gli spiegai anche come una certa quantità di codesta polvere, chiusa in un tubo di ferro o di bronzo, secondo i casi, poteva lanciare una palla di piombo o un proiettile di ferro con tale forza e velocità, che nulla era capace di resisterle; che codeste palle cacciate fuori dal tubo per la conflagrazione di detta polvere abbattevano, rompevano, disordinavano interi battaglioni e squadroni, rovesciavano le più solide mura, rovinavano le più grosse torri, affondavano i più solidi vascelli; che codesta stessa polvere, posta dentro un globo di ferro lanciato sopra una città con una delle suddette macchine, bruciava e devastava le case, gettando tutto intorno scheggie micidiali per chiunque fosse lì vicino. Aggiunsi che io sapevo la ricetta per fabbricare codesta meravigliosa polvere, ch'era composta di sostanze comuni e di basso prezzo; e mi offersi d'insegnare ai sudditi di sua maestà il modo di costruire quei tubi della grossezza proporzionata alla loro statura; né i più grandi dovevano sorpassare i cento piedi. Venti o trenta di codesti arnesi caricati nel modo voluto avrebbero, soggiunsi, rovesciato le mura della più forte città del suo reame, qualora avesse osato di ribellarglisi, e avrebbero distrutto in poche ore la capitale medesima, qualora avesse tentato sottrarsi al suo potere. Questo servigio gli proffersi come piccolo attestato della mia gratitudine per le numerose prove di benevolenza che mi aveva dato.
Alla descrizione di codesti terribili ordigni e all'offerta conseguente, il re inorridì. Non si poteva capacitare (furono le sue parole) che un vile insetto strisciante parlasse con tanta leggerezza degli effetti sanguinosi e perniciosi prodotti da tali invenzioni distruttrici; inventate certamente da qualche genio malefico nemico di Dio e della creazione. Egli mi assicurò che ogni nuova scoperta, sia nelle arti che nelle scienze, lo riempiva di gioia, ma che avrebbe preferito perdere il trono piuttosto che servirsi d'un così funesto segreto. E mi proibì, pena la vita, di comunicarlo ad alcuno dei suoi sudditi."



"Risposi che venivo di lontanissimo, avendo varcato l'oceano insieme a molti altri esseri simili a me, sopra una grande macchina di legno, fabbricata con tronchi d'albero, e che i miei compagni mi avevano abbandonato sulle coste di quell'isola. Feci questo racconto con grande fatica e sempre aiutandomi coi gesti. Il padrone rispose che dovevo prendere abbaglio, a meno che non avessi detto una cosa «che non era». (Gli houyhnhnms non hanno una parola che esprima la bugia). Gli pareva impossibile che al di là del mare vi fossero altre terre, e che ad ogni modo un gregge di spregevoli bruti potesse far galleggiare sull'acqua una gran macchina di legno conducendola a sua voglia. Appena uno houyhnhnm avrebbe potuto fare qualcosa di simile, e certo non avrebbe affidato agli iahù il comando del bastimento."



"Io vengo, dissi, da un paese lontanissimo, come già accennai a vostro onore, e mi trovavo sopra un vascello, ossia una macchina formata di tavole, con una cinquantina di compagni, insieme ai quali avevo attraversato il mare». E qui gli descrissi alla meglio com'era fatto un bastimento e, aperto un fazzoletto, vi soffiai dentro per mostrargli come il vento poteva spingere le vele. "



"Ma poiché tutti i giorni i miei vicini mi esortano a ubbidire alle decisioni dall'assemblea, non posso tergiversare più a lungo. Siccome non credo che possiate tornare al vostro paese a nuoto, vi consiglio di fabbricarvi una macchina sul genere di quelle che mi avete descritte, capace di trasportarvi sulle acque; tutti i miei servi, nonché quelli dei miei vicini, potranno aiutarvi."


"Egli possedeva, tempo addietro, un mulino che veniva mosso dalla corrente d'un grosso fiume, e che serviva alla sua famiglia oltre a molti suoi dipendenti. Orbene: sette anni prima, un gruppo d'ingegneri gli aveva proposto di demolire quel mulino per fabbricarne un'altro sul fianco del monte, in cima al quale avrebbero costruito un grande serbatoio, donde l'acqua sarebbe stata facilmente condotta giù per mezzo di tubi e di altri meccanismi. Il vento, che soffiava lassù, avrebbe agitato l'acqua rendendola più scorrevole, sicché, facendola scendere dal monte, il suo peso avrebbe fatto girare il mulino con la metà del volume ch'era necessario per muovere il mulino stesso in pianura.
Molti amici si fecero attorno a Munodi per persuaderlo ad adottare questo sistema, ed egli cedette, anche perché s'era accorto dell'antipatia procuratasi a Corte per la sua ripugnanza alle novità. Fece lavorare cento operai per ben due anni, ma l'impresa non riuscì, e gli ingegneri costruttori se la cavarono addossando a lui tutta la colpa. Da quel giorno essi non avevano fatto altro che burlarsi di lui, e avevano persuaso molte altre persone a ripetere il tentativo, con la stessa sicurezza prima, e la stessa delusione poi."


"Da qualche tempo mi sentivo un certo dolore di corpo; sicché con molta opportunità il mio cicerone mi fece entrare nella stanza d'un illustre medico, veramente benemerito per avere scoperto il segreto per guarire le coliche con un semplice meccanismo che agisce in senso contrario alla malattia. Egli si serviva d'un grande soffietto munito d'un lungo e sottile tubo d'avorio, che insinuava nell'ano per circa otto pollici di profondità. Per mezzo di codesta specie di clistere a vento, egli pretendeva di portar via, aspirando, tutte le flatulenze interne ripulendo le viscere e rendendole piatte come una vescica vuota."

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